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Influencers, sfiducia e disinformazione: i paradossi dell'informazione digitale

Il Rapporto 2025 sulle notizie digitali di Reuters dipinge un quadro poco rassicurante dell'informazione globale

27 giugno 2025di Alessandra Testori

Nel mondo, 6 persone su 10 non sanno distinguere le notizie vere da quelle false. Almeno, questo è quanto emerge dal Rapporto 2025 sulle notizie digitali di Reuters, dove il 58% degli intervistati afferma di essere preoccupato per la propria capacità di distinguere il vero dal falso. Stati Uniti e Africa sono i più preoccupati (73%), mentre i cittadini dell’Europa occidentale sono quelli che hanno la maggiore sensazione di capacità di discernimento (46%).

Strettamente collegato a questo dato è il fatto che solo il 36% della popolazione mondiale si fida dell’informazione: dopo la pandemia, infatti, il livello di fiducia è calato e non è più risalito. Difficile individuare causa e conseguenza: oltre un terzo delle persone non ha fiducia nelle notizie, e più della metà teme di non capire nemmeno quando sono totalmente infondate.

Il fatto che il 40% della popolazione mondiale eviti direttamente di leggerle non migliora la situazione: 4 persone su 10 dicono di evitare le notizie “ogni tanto o spesso”, dato che in Italia scende al 33%. Le persone rifiutano di entrare in contatto con le principali fonti di informazione principalmente per l’effetto negativo che le notizie avrebbero sull’umore (39%), ma anche per il sovraccarico informativo (31%), l’eccessiva copertura di conflitti (30%), le troppe notizie di politica (29%) e la sensazione di impotenza (20%).

Quindi, quasi la stessa quantità di persone che evita le notizie non si fida dell’informazione; ma la news avoidance non è dovuta alla mancanza di fiducia nelle notizie. E tornando alla questione della fiducia, il 47% degli intervistati ritiene che influencer e personalità online siano tra le principali fonti di disinformazione, a pari merito con i propri politici. La preoccupazione per gli influencer è massima in paesi africani come Nigeria (58%) e Kenya (59%), mentre i politici sono considerati la minaccia principale negli Stati Uniti (57%), in Spagna (57%) e in gran parte dell’Europa orientale, compresi Serbia (59%), Slovacchia (56%) e Ungheria (54%).

Si tratta di un dato paradossale se confrontato con l’ascesa dei vari info-encer: il  22% degli americani ha dichiarato di aver seguito i contenuti del popolare podcaster Joe Rogan nella settimana successiva all’insediamento di Trump. Ma il successo dei news creator, soprattutto di destra, non si limita agli States: in Francia va forte Hugo Travers («HugoDécrypte»), con il 22% degli under 35 tra il suo pubblico. Gli Stati Uniti comunque detengono il primato dei fruitori settimanali di podcast (15%). Al contrario, molti mercati del nord Europa restano dominati dai broadcaster pubblici o da grandi media tradizionali.

L’informazione monocanale, comunque, sembra essere destinata a scomparire: oggi le piattaforme online consultate per le notizie settimanali da almeno il 10% degli intervistati sono 6, mentre dieci anni fa erano solo 2. La prima rimane Facebook con il 36% del pubblico, seguita da YouTube (30%), Instagram (19%), WhatsApp (19%), TikTok (16%) e X (12%). A queste va aggiunta l’Intelligenza Artificiale, utilizzata come fonte di informazione dal 7% dei cittadini mondiali, percentuale che sale del doppio (15%) nella fascia under 25. Le funzionalità AI più apprezzate sono i riassunti automatici delle notizie (27%), le loro traduzioni (24%), i suggerimenti personalizzati sulle storie da seguire (21%) e i chatbot per fare domande mirate su notizie specifiche (18%).

In questo panorama è evidente la sofferenza del business degli abbonamenti digitali: solo il 18% dei cittadini dei 20 paesi più ricchi paga per leggere le notizie online, con Norvegia e Svezia in cima, rispettivamente al 42% e al 31%. Solo un americano su cinque è disposto a pagare per informarsi, ma le nazioni peggiori per l’editoria digitale sono Croazia, Grecia e Serbia, dove i lettori paganti rappresentano solo il 6 o 7% del totale.

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